22 maggio 1865. Lettera: Terracini commenta il caso “Olper” sul periodo di lutto
Percorso: Rabbino Davide Terracini
Dati:
mittente: Davide Terracini
destinatario: Direttori dell’Educatore Israelita (Vercelli)
oggetto: sulla riduzione dei giorni di lutto del Rabbino Maggiore Olper
La minuta è redatta all’interno di un piccolo quaderno. Reca data e luogo: Asti, 22 maggio 1865.
Terracini risponde all’invito della redazione dell’Educatore Israelita, in cui la Redazione del periodico esortava i lettori ad esprimersi sulla recente innovazione introdotta nel culto dal Rabbino Maggiore delle Università del Piemonte, Samuele Salomone Olper: la riduzione da sette a tre giorni del periodo di lutto stretto. Questa decisione unilaterale da parte di Olper dette luogo ad una violenta controversia. Molti furono gli oppositori, con in testa i rabbini toscani guidati da Elia Benamozegh. Un altro schieramento vide tra le proprie file figure quali Marco Mortara e Terracini, che, tuttavia, non sostennero la decisione dell’Olper. Questi adottarono una posizione alquanto diversa, ben espressa proprio in questa lettera da Terracini stesso.
La prima dichiarazione del rabbino astigiano mostra come egli si opponesse con viva forza a qualsiasi riforma di precetti talmudici – in quanto derivati da quelli biblici – e, più in generale, ad ogni innovazione fondata sulla sola autorità individuale, per quanto vasta potesse essere l’erudizione del rabbino che ne fosse l’autore. I soli ambiti suscettibili di modifica riguardano la poesia liturgica (piyyutim, selichot) e quelle forme del culto introdotte localmente. Il pericolo nell’avallare riforme individuali, naturalmente, risiede per Terracini nell’arbitrio della singola autorità rabbinica, che mina le fondamenta dell’unità del culto. Se questa opposizione ad un’alterazione dei precetti talmudici scaturisse più dalla volontà di dissociarsi completamente dalla posizione dell’Olper, il quale delegittimava la Legge orale (Mishnà, Talmud) come codice dotato di sacralità simile alla Legge scritta (Bibbia), dunque, immutabile, che da una sincera convinzione in tal senso, è arduo discernere. È probabile che Terracini mirasse ad arginare pericolose derive: se si fosse ammessa la facoltà di modificare i precetti talmudici puramente sulla base di un loro presunto status deteriore rispetto alla Legge orale, niente avrebbe impedito ad un rabbino di demolire a proprio piacimento il complesso edificio normativo sul quale fino ad allora si era retto l’Ebraismo e la decisione di Olper sembrava preludere a tale scenario.
Ciò sembra potersi dedurre dal fatto che, se i rabbini toscani consideravano, quantomeno formalmente, qualsiasi alterazione del culto contraria alla Legge, Terracini, con Mortara e pochi altri, ammetteva la possibilità di modificare le norme rituali, ma solo a condizione che qualsiasi risoluzione al riguardo fosse discussa ed emanata da un «corpo completamente costituito» di rabbini. Torna, dunque, il tema caro al Rabbino Maggiore di Asti, ovvero la necessità per il Rabbinato italiano di riunirsi in un Concilio, allo scopo di discutere e confrontarsi sui problemi che l’Ebraismo italiano si trovava ad affrontare in un’epoca di profondi mutamenti. Non manca una critica da parte di Terracini alla risoluzione adottata dal Congresso ferrarese, che rifiutò di indire il Concilio, pur essendo «chiamato a […] tutelare gl’interessi israelitici non tanto civili quanto religiosi». Il dissenso, non solo all’interno del Rabbinato, ma tra le componenti laica e religiosa era ben più grave di quanto non si volesse ammettere ufficialmente.