Dicembre 1865. Lettera: il ruolo delle comunità nel progetto di un Concilio rabbinico
Percorso: Rabbino Davide Terracini
Dati:
mittente: Davide Terracini
destinatario: Prof. Cav. Giuseppe Levi (Vercelli)
oggetto: necessità del sostegno delle comunità al progetto di un Concilio rabbinico e di riforma del culto
La minuta è scritta su di un piccolo quaderno. Reca l’anno e il mese, ma non il giorno: dicembre 1865.
Dopo essersi congratulato per la guarigione dell’amico, Terracini denuncia con rammarico il fallimento del progetto di un Concilio rabbinico, portato al Congresso di Ferrara. Riflettendo sulle ragioni ultime di tale esito, il rabbino approfondisce un aspetto già toccato marginalmente nella lettera del 24 settembre 1865 a Giuseppe Raffael Levi, Rabbino Maggiore di Vercelli. Terracini, infatti, sostiene che nessun Concilio potrà mai sperare di aver luogo o sortire alcun effetto con le proprie deliberazioni senza il concorso «morale ed economico» delle comunità di fedeli, ed in particolare delle rispettive amministrazioni. Questa affermazione assume ben altro rilievo, quando si consideri la condizione di dipendenza dei rabbini nei confronti delle comunità: erano quest’ultime a fornire loro uno stipendio, dunque, l’operato del rabbino non poteva prescindere dall’approvazione dei propri fedeli, pena la perdita della propria fonte primaria di sostentamento. Idealmente le comunità avrebbero dovuto promuovere spontaneamente concili a tutela del culto; tuttavia, il crescente disinteresse per la religione rendeva tale prospettiva quantomeno utopistica.
Il rapporto disfunzionale tra laici e rabbini – prosegue Terracini – emerse con limpida chiarezza a Ferrara. Un congresso laico, che avrebbe dovuto, secondo il Rabbino Maggiore di Asti, curare gli interessi civili e religiosi, finì per trascurare gli ultimi a favore dei primi. Fatto che si tradusse nel rifiuto di prendere alcun provvedimento in merito al Concilio. La ragione di tale rifiuto risiede nel fatto che le amministrazioni insieme con i rispettivi fedeli ebbero più a cuore le proprie sorti di ebrei cittadini che non di ebrei in quanto tali; risulta chiaro come per Terracini l’identità ebraica sia primariamente legata alla propria componente religiosa tradizionale, in assenza della quale un ebreo diviene in tutto identico ad un cittadino italiano non ebreo.
L’immobilismo di questi sedicenti «tutori del Culto Israelitico», da un lato per il fanatismo di coloro che vorrebbero la Legge immutabile, dall’altro per l’indifferenza dei più non avrebbe avuto altro esito se non sancire lo stato attuale di abbandono della tradizione. Terracini non nutriva molte speranze nel futuro Congresso di Firenze, immaginato come «non men romoroso per formalità, programmi e discussioni e deliberazioni». Ciò non gli impedì di promuovere strenuamente la necessità di un Concilio rabbinico, che, promosso da una «laicale rappresentanza», delineasse il piano di un’azione concorde perché la tradizione religiosa ebraica non venisse meno soccombendo alle attrattive dei tempi nuovi.