Emilio Donato Bachi
Emilio Donato Bachi nacque a Carmagnola nel 1815. Ricevette il titolo rabbinico di chakam (titolo intermedio) da Lelio Cantoni. Divenne rabbino di Saluzzo nel 1864, succedendo a Beniamino Artom, dove rimase sino alla morte, avvenuta nel 1885.
Bachi non partecipò al Congresso di Ferrara, ma poco dopo il suo insediamento in Saluzzo fu invitato dalla Commissione esecutrice del Congresso ad esprimere un parere sulla questione del divorzio e del matrimonio tra consanguinei. Dell’opportunità di richiedere al governo di mantenere le leggi vigenti – che consentivano il divorzio ai sudditi ebrei del Regno – all’interno del nuovo codice civile si era già discusso a Ferrara. L’assemblea aveva deliberato a favore di tale istanza (link a deliberazioni di Ferrara), chiedendo di elaborare un progetto di regolamento, frutto del parere del Rabbinato italiano, da presentare al governo. In tale contesto si inserisce la lettera datata 31 dicembre 1864, che il rabbino di Saluzzo inviò alla Commissione.
In essa Bachi esprime parere contrario a quello che prevalse al Congresso, dichiarando che in materia di divorzio e matrimonio tra consanguinei gli ebrei italiani avrebbero dovuto adeguarsi alle norme vigenti per tutti gli altri sudditi, pur se questo significava rinunciare a privilegi loro concessi per secoli. Oltre a dare indizio di aver ben compreso le implicazioni della nuova condizione giuridica acquisita con l’Emancipazione, Bachi non nega alla Legge, pur frutto di rivelazione divina, una prospettiva storica. Se, infatti, essa fosse immutabile, suscettibile di nessun cambiamento, i dottori della Legge non avrebbero interdetto la poligamia e la schiavitù, pur presenti e regolamentate all’interno del codice mosaico.
Bachi propose l’introduzione di un’innovazione nel culto, ovvero la celebrazione dei matrimoni nei giorni intermedi (detti mezze feste) delle feste di Pesach e di Sukkot. Sfortunatamente tra la documentazione rinvenuta in Archivio non v’è traccia di tale proposta; tuttavia, sappiamo che Mortara la difese in un suo articolo dal titolo Sui matrimoni nelle mezze feste, pubblicato sul Corriere Israelitico del 1876-77.
Ciò di cui veniamo a conoscenza dal copialettere di Davide Terracini è un dissidio sorto tra il suddetto e Bachi riguardo alla nomina di Raffaele Treves a rabbino. In una lettera del 31 maggio 1871 a Moise Segre, Terracini esprimeva un giudizio ben poco lusinghiero nei confronti del rabbino di Saluzzo per aver concesso il Diploma Rabbinico ad un individuo di quantomeno dubbia moralità, divenuto poi rabbino di Ivrea. Tale era l’ira del rabbino astigiano che preferì non rispondergli affatto, quando Bachi lo consultò su una questione rituale, ovvero sulla liceità di collocare effigi e busti nei sepolcri. Il rabbino di Saluzzo aveva infatti vietata la pratica, ma volle chiedere un parere a Terracini, poiché alcuni saluzzesi affermavano che ad Asti essa era permessa. Il rabbino astigiano non manca di rilevare come in realtà condividesse la decisione di Bachi in proposito, ma anche come il disappunto generato dalla nomina avventata lo avesse indotto al silenzio.