L’Università Israelitica di Mondovì ed i Congressi di Ferrara e Firenze
A circa trenta chilometri a est di Cuneo, Mondovì appartiene a quell’universo pulviscolare, di cui fanno parte le comunità ebraiche piemontesi alla metà dell’Ottocento. Piccola Università di 200 membri, mantenne la propria autonomia fino al 25 febbraio 1917, data in cui ne fu decretata l’annessione alla comunità di Cuneo. Nel 1930, per effetto dell’entrata in vigore della cosiddetta Legge Falco, a sua volta la comunità di Cuneo divenne parte della maggiore comunità torinese. Oggi la comunità di Mondovì è estinta. Non si possono fare a meno di citare due suoi figli: Marco Momigliano, rabbino maggiore di Bologna, e Felice Momigliano.
L’Università Israelitica di Mondovì, a differenza di Saluzzo, partecipò ad entrambi in Congressi di Ferrara e Firenze. A luglio del 1862 Leon Borghi, Presidente della Comunità di Ferrara, conferì a Mosè Leon Finzi, medico, l’incarico di rappresentare Mondovì al Congresso, su richiesta di quest’ultima. La scelta di non inviare un proprio membro era forse dovuta alla necessità di non gravare sul già esiguo bilancio della piccola comunità. I lavori dell’assemblea dovevano avere inizio il 22 luglio 1862, ma vennero rinviati a data da definire. Finzi accettò comunque di buon grado la nomina. Quando fu fissata una nuova data, per il 12 maggio 1863, a quasi un anno di distanza, Finzi fu confermato nel suo incarico, che svolse con diligenza. A circa metà congresso inviò una relazione sulle prime giornate di lavori, in cui Finzi rivelava di aver dovuto rinunciare al ruolo di segretario dell’assemblea congressuale, per aver quasi perso la voce durante i roventi dibattiti! Da questo documento veniamo a conoscenza della presenza del rabbino Marco Mortara al Congresso. Non sono conservate ulteriori relazioni da parte di Finzi, che si impegnò a inviare una volta pronte le deliberazioni ufficiali.
Da alcune lettere di poco precedenti il Congresso di Firenze del 1867 emerge la morosità di Mondovì, al pari di Saluzzo, per quanto concerne le quote previste per gli anni 1864 e 1865. È lamentato, inoltre, il mancato invio di un parere da parte della comunità piemontese riguardo agli emendamenti da proporre per la legge “Rattazzi”. Constatiamo, dunque, la ritrosia della comunità a rispondere ad un organo di rappresentanza centrale, seppur limitato all’esecuzione delle deliberazioni congressuali. Veniamo a sapere da una lettera di Giacomo Dina, che Mondovì aveva chiesto all’insigne giornalista torinese di rappresentarla a Firenze. Allievo di Lelio Cantoni, del quale aveva fatto proprio il sogno di liberare gli ebrei italiani dalla condizione di subalternità cui erano relegati, Dina aveva profuso le sue energie al servizio della causa emancipatoria dalle colonne de L’Opinione. A causa dei suoi numerosi impegni aveva dovuto rifiutare l’offerta di Mondovì, cosicché la comunità si rivolse a David Levi, presidente della Commissione Esecutrice del Congresso, perché le consigliasse una persona adatta allo scopo. Levi nomina, dunque, Raffaele Tedeschi, segretario del Consiglio di Amministrazione della comunità di Ancona, senza attendere un riscontro da parte del Consiglio di Mondovì, che avrebbe gradito contattare direttamente il candidato. Tedeschi a congresso ormai concluso inviò una dettagliata relazione, in cui riportava estesi brani tratti dallo stampato ufficiale delle deliberazioni (++link a scheda Deliberazioni Firenze++). Ad essi aggiunse alcune personali osservazioni, tra cui degna di nota è la sua opposizione alla proposta di Davide Terracini per la convocazione di un Concilio Rabbinico, di cui criticava la portata oltremodo ampia e l’inopportunità dei tempi, fattori che a suo dire rendevano molto alto il rischio di uno scisma. Dalla relazione veniamo a conoscenza di una lettera inviata da Mondovì sul tema del trasporto dei cadaveri. Sulla questione l’assemblea congressuale affermò che fosse impossibile chiedere al Comune la concessione di un privilegio ad esclusivo vantaggio degli ebrei di Mondovì, trovandosi il cimitero al di fuori dei confini comunali. Ciò che era lecito rivendicare era la disposizione di un nuovo cimitero all’interno del comune.