12 maggio 1880. Lettera circolare: Jona informa il Rabbinato dei pareri ricevuti sulla proposta di permettere ai correligionari di votare nel primo giorno di Shabu‘ot

Percorso: Rabbino Marco Momigliano

Dati:
mittente: Salomon Jona, Rabbino Maggiore di Modena
destinatario: Marco Momigliano
oggetto: Jona comunica l’esito del suo appello del 4 maggio 1880, in cui invitava a permettere ai correligionari di votare in giorno di festa, e fornisce un elenco dei rabbini che gli hanno inviato parere favorevole e contrario

Si tratta di una lettera circolare di Salomon Jona a tutti i rabbini italiani, che Momigliano volle trascrivere all’interno del suo copialettere (carta 48v). Reca la data 12 maggio 1880 ed il titolo «Seconda Circolare del Rab.o Jona per la risutanza [sic] di quanto per la votaz.e del P.mo giorno di Savuod».
Il 4 maggio 1880 Jona aveva inviato a tutti i rabbini italiani una lettera circolare, in cui proponeva di consentire ai correligionari di votare alle elezioni politiche, nonostante cadessero in giorno di festa. Scrivere, infatti, era una delle attività interdette dalla legge ebraica durante il Sabato e nei giorni di festa. Nel maggio 1880 le elezioni caddero durante il primo giorno di Shavu‘ot (festa delle Settimane), fatto che avrebbe reso l’esercizio del diritto di voto per gli ebrei italiani una violazione della legge religiosa.
Alla circolare risposero 26 rabbini, di cui 15 si dichiararono favorevoli alla proposta di Jona, mentre 11 si dissero contrari. Che la maggioranza dei rabbini italiani, sebbene non schiacciante né assoluta, fosse incline a derogare ad un precetto religioso, per consentire l’esercizio di un diritto civile e politico è già per sé un fatto degno di nota. Ora, il diritto di voto era un portato dell’emancipazione ed è ben nota l’importanza che per gli ebrei italiani rivestiva l’impegno civico e l’attiva partecipazione alla vita politica del Regno, prerogative per cui a lungo si erano battuti. Cionondimeno, in questo caso il conflitto tra interessi civili e religiosi era ineludibile: si trattava di alterare deliberatamente un precetto religioso a favore di un diritto politico, peraltro non vincolante.
Fin dai dibattiti sorti intorno ai Congressi di Ferrara e Firenze il rifiuto di gran parte del Rabbinato italiano ad accettare l’idea di una riforma del culto era stato una costante. L’alterazione di un precetto religioso era considerata generalmente – se pur non da tutti – un attacco all’unità e alla sacralità della Legge. Eppure, a più di un decennio dai Congressi la situazione sembra essere mutata. Gli ebrei italiani vivono le proprie vite lontani dalla Legge, in una società sempre più secolarizzata. I rabbini sentono, forse, di dover adattare, seppur per piccoli passi, il complesso normativo religioso ai nuovi tempi.
Si noti, tuttavia, come i nuclei dei due fronti, che si erano opposti nei dibattiti menzionati, si fossero mantenuti intatti: da un lato a favore della proposta di modifica troviamo Davide Terracini  (Asti) e Marco Mortara (Mantova); dall’altro, tra i conservatori sono riportati i rabbini di Firenze e Livorno, comunità da cui più forte si levò l’opposizione alle istanze di Terracini e Mortara. Tra i conservatori troviamo, naturalmente, anche Marco Momigliano, come noto dalla sua lettera del 7 maggio 1880.

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