18 gennaio 1880. Lettera: Momigliano risponde all’opuscolo di Terracini sulla questione del minyan
Percorso: Rabbino Marco Momigliano
Dati:
mittente: Marco Momigliano
destinatario: Davide Terracini
oggetto: lo scambio di pareri concernente la riduzione del minyan tra Momigliano e Terracini continua in forma privata. Momigliano suggerisce alcuni espedienti per raggiungere il numero legale ed esprime il proprio parere sull’opportunità di un Concilio rabbinico
La minuta è contenuta all’interno del copialettere di Momigliano (carte 46-47). Reca la data 18 gennaio 1880.
In risposta all’articolo di Momigliano Terracini aveva pubblicato un opuscolo dal titolo Sull’appunto del sig. M. Momigliano rabbino in Bologna intorno al numero dieci prescritto al culto israelitico nelle pubbliche preghiere, nel quale argomentava più diffusamente le ragioni della propria decisione. Sembra potersi inferire che il Vessillo Israelitico, nel pubblicare la notizia, avesse ceduto ad un certo sensazionalismo, o quanto meno Terracini così affermò nel suo opuscolo. Momigliano, tuttavia, non senza ragione, ribatte di aver atteso due mesi prima di rispondere sulle pagine del medesimo periodico, un tempo più sufficiente perché Terracini avesse la possibilità di render note eventuali imprecisioni nel resoconto. Desta una certa curiosità la deferenza di Momigliano nei confronti di Terracini, descritto come «un Collega assai più di me rispettabile per età, erudizione e grado»; entrambi, infatti, avevano il grado di Rabbino Maggiore, sebbene Terracini godesse certamente di maggior prestigio ed esperienza.
Entrando nel merito delle ragioni di Terracini per la riduzione del numero legale, Momigliano racconta di alcuni espedienti da lui adottati nel corso del suo ministero, dei quali uno consisteva nell’«obbligare alcuni poveri massime i vecchi sussidiati dalla pubblica beneficenza» a prender parte alle funzioni, così da raggiungere il numero legale prescritto. L’adozione di simili accorgimenti avrebbe reso superflua la modifica alla norma, che Terracini aveva ritenuto necessaria.
Momigliano si sofferma, infine, brevemente sul tema del Concilio rabbinico, istanza di cui Terracini si era fatto per anni portavoce ad entrambi i Congressi di Ferrara e Firenze, nonché in numerose lettere:
[…] espongo ancora il mio avviso sul secondo punto del suo stampato pel congresso Rabbinico. Secondo me avrebbe assai giovato trent’anni addietro, ma ora non c’è più argine che valga; troppo funeste furono le conseguenze dell’abuso che si fece della libertà. Non saprei davvero quale scopo potrebbe ora avere un congresso Rabbinico; di riforme se ne fecero ad isuberanza.
E poi, ancora abbisognano le nostre riforme coll’andazzo che si ha a tante profanazioni e il חלול שבת [chillul shabbat: profanazione del Sabato] in capo di tutti? D’altronde abbiamo l’esempio dei risultati che si ne ebbero di congressi Rabbinici in altre contrade i quali diedero niente di buono.
Momigliano, pur concedendo a Terracini che un Concilio avrebbe potuto rivelarsi utile trent’anni prima, tradisce la sua posizione al riguardo al paragrafo successivo, quando afferma che dai congressi tenutisi altrove non è venuto niente di buono. Anche per il rabbino di Bologna, dunque, l’ombra dello scisma riformato avvenuto in Germania vela ogni proposta di un’adunanza di rabbini. Cionondimeno, quell’affermazione tinta di rassegnazione – «di riforme se ne fecero ad isuberanza» – lascia trasparire la peculiarità del caso italiano rispetto a quello tedesco: non vi fu un progetto di riforma sistematico, ma molte innovazioni di maggiore o minore entità ed importanza furono parimenti introdotte singolarmente e variamente adottate. Inoltre, Momigliano ribadisce a Terracini la propria posizione diametralmente opposta a quella del rabbino astigiano: le riforme non sortono alcun effetto, se non quello di allontanare i fedeli dal culto; Terracini, al contrario, scorgeva in esse il mezzo primario con cui ricondurre i correligionari alla religione dei padri.