27 dicembre 1863. Lettera circolare: Artom esorta i fedeli a osservare il digiuno

Archivio Terracini. Fondo Saluzzo. Università Israelitica di Saluzzo. Culto e cimiteri. Serie 4, fald. 35, fasc. 4

Percorso: Rabbino Beniamino Artom

Dati:
mittente: Beniamino Artom
destinatario: comunità ebraica di Saluzzo
oggetto: digiuni dei Shovavim; Artom tenta di ripristinare l’osservanza di tali digiuni, mitigando l’applicazione del precetto

La circolare è redatta a mano su carta intestata a «Il Rabbino dell’Università Israelitica di Saluzzo». È datata 27 dicembre 1863 e reca il titolo «Digiuni dei שובבים ».
Dopo un breve elogio dei pregi della Legge mosaica e talmudica, che più di altre seppero integrare i precetti religiosi e morali gli uni con gli altri, Artom richiama i fedeli all’importanza del digiuno come strumento fondamentale di penitenza. In particolare, con l’avvicinarsi dei mesi di gennaio e febbraio Artom esorta i correligionari a recuperare la pratica dei digiuni dei Shovavim (acronimo dalle iniziali dei nomi delle letture sinagogali di quel periodo, Shemot, Va’era’, Bo, Beshallach, Yitro e Mishpatim; vi è anche un’allusione a Geremia 3,22, in cui il termine ricorre nel significato di “trasgressori”). Un tempo universalmente praticati, questi dodici digiuni erano progressivamente caduti in desuetudine. Si era passati dall’estrazione a sorte degli individui che avrebbero praticato il digiuno alla riduzione da due digiuni settimanali ad uno solo, fino a giungere ad un solo digiuno su dodici. Ma persino queste modifiche non erano bastate. Si diceva che erano «mutati i temperamenti e che piu [sic] non si puo [sic] sostenere quello che altre volte si faceva».

Artom di fatto sancisce la riduzione del numero di digiuni, esortando i fedeli a compensare l’attenuazione del precetto con una maggiore e più sentita partecipazione; implora i fedeli a non addurre le consuete scuse «chi di malattie, chi di viaggi e chi di gravi occupazioni». La lettera di Artom ci offre una testimonianza diretta, tutt’altro che isolata peraltro, della crescente distanza che separava gli ebrei italiani dal culto e del tipo di impatto che il fenomeno aveva sulla vita comunitaria e sull’esecuzione del ministero rabbinico. Per arginare la dilagante indifferenza Artom ritenne opportuno avallare l’alterazione di un precetto, che come tale non era suscettibile di modifiche. Se in Italia non si ebbe un movimento di riforma sistematica e programmatica del culto, è pur vero che questi cambiamenti mutarono sensibilmente la fisionomia del culto ebraico italiano.

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