29 marzo 1860. Inno: L’Emancipazione degli Israeliti: un inno di Beniamino Artom
Archivio Terracini. Fondo Saluzzo. Università Israelitica di Saluzzo. Culto e cimiteri. Serie 4, fald. 20, fasc. 8
Percorso: Rabbino Beniamino Artom
In occasione del 12º anniversario dell’Emancipazione civile degli ebrei piemontesi (29 marzo 1848), Artom compose un inno in ebraico ed in italiano. Lo fece musicare e stampare perché fosse cantato dal coro nel tempio ebraico di Saluzzo la sera del 29 marzo 1860. Il testo è disposto in due colonne separate da un fregio verticale: a sinistra la versione italiana, a destra quella ebraica. Il testo ebraico è vocalizzato. L’inno italiano è composto da 5 ottave di dodecasillabi in rima (AABCCBDD), i cui ultimi due versi costituiscono un ritornello. La versione ebraica è non in ottave, bensì in sestine.
L’inno è concepito come un salmo di lode a Dio per aver redento Israele, concedendogli la libertà. Curiosamente, si chiude con un’esortazione di lode al Re Vittorio Emanuele II, per aver spezzato «i ferri» che legavano il popolo ebraico. Questa struttura ad anello ha l’effetto di accostare le due figure di Dio e del Re in qualità di artefici dell’Emancipazione ebraica. Il nucleo del componimento vede un gioco di opposizioni tra un passato di sofferenze ed il riscatto presente: a rapimenti e conversioni forzate si sostituiscono la sicurezza e la protezione della legge; ad un «popol sprezzato» un popolo di «cittadini». Nella menzione dei rapimenti e delle conversioni dei bambini, oltre che ad un fenomeno tristemente diffuso per secoli, è probabilmente da scorgere un riferimento al recente scandalo creato dal caso del piccolo Edgardo Mortara, che ebbe risonanza internazionale. Significativo è anche il riferimento alla terra e ai suoi frutti, nati «pel vostro sudar»; se è evidente il richiamo al racconto biblico della cacciata da Eden, è probabile che Artom qui alluda all’interdizione secolare del possesso della terra per gli ebrei, assunto a simbolo di riscatto e piena parità.