20 marzo 1879. Lettera: sulla trasgressione dei precetti sabbatici
Percorso: Rabbino Marco Momigliano
Dati:
mittente: Marco Momigliano
destinatario: Alfredo Soliani (Reggio Emilia)
oggetto: Momigliano discute con Soliani della crescente inosservanza dei precetti religiosi, concernenti in particolare il Sabato
La minuta è redatta all’interno del quaderno copialettere usato da Momigliano tra il 1870 e 1897, carte 42-43. Reca la data 20 marzo 1879.
Momigliano scrive a Soliani riguardo ad una proposta di quest’ultimo pubblicata sul Corriere Israelitico tesa ad arginare le violazioni del Sabato, ormai largamente diffuse, con particolare riguardo al divieto di scrivere. Su questo tema si era soffermato anni addietro anche Davide Terracini in una lettera del 5 novembre 1866 al Rabbino Maggiore di Vercelli, Giuseppe Raffael Levi. Pur fornendo il proprio appoggio, il rabbino di Bologna non nasconde di nutrire dubbi sulle possibilità di successo dell’iniziativa. Egli, infatti, ritiene «essere troppo istesa la profanazione del Sabato». Nel descrivere l’ormai avanzato processo di secolarizzazione degli ebrei italiani, Momigliano offre una prospettiva interessante:
È poi maggiormente imperdonabile del modo con cui siamo stati dal governo favoriti a tal riguardo che nessuno lavoro per iscritto si poteva dare nell’esame finale di Sabato nelle scuole dove vi erano israeliti. eppure non se ne volle profittare. Le dirò un caso singolare, che quando fui Rabino a Savigliano ebbi sempre varii pensionanti che praticavano le pubbliche scuole, in un anno che si temeva del colera venne improvvisato ordine di affrettare l’esame finale, e vi era articolo speciale nell’ordine che nelle scuole dove vi erano israeliti che non potevano fare il lavoro di Sabato dovessero farlo al Domenica. Tra di me dissi se neppure vi fosse stato un ministro d’Istruzione pubblica Israelita non avrebbe avuto tanta premura.
Dunque, pur avendo la possibilità all’interno delle strutture educative pubbliche di integrare l’osservanza di alcuni precetti (come il divieto di scrivere durante il Sabato) al di fuori della sfera privata, gran parte dei giovani ebrei, seguendo in questo l’esempio dei genitori, scelse di abbandonare quei tratti che più li distinguevano dal resto dei connazionali non-ebrei. Com’è reso evidente più avanti nella lettera, quei pochi che tentarono di resistere al cambiamento infine cedettero per vergogna nei confronti dei propri compagni, trovandosi in una condizione di isolamento e distinzione che creava loro imbarazzo e ostacolava il processo d’integrazione.
A testimonianza della rapidità e della pervasività del mutamento sociale, Momigliano afferma:
Quando io venni a Bologna nel 1866 nessun figlio ancora praticava le pubbliche scuole, per cui io aveva obbligo mediante retribuzione dalle rispettive famiglie di aprire una scuola tanto pel sacro che pel profano […]
Più avanti:
È veramente assai deplorevole un tale stato di cose, non si trova più un ragazzo al tempio di Sabato che possa dire un aftarà. L’istruzione religiosa in totale abbandono, qui dopo il primo triennio non mi fu più fattibile continuare la scuola, presero a mandare i figli alle pubbliche scuole, e se voglio sostenere un poco d’istruzione religiosa dovetti adattarmi andare nelle case nei giorni di vacanza dalle pubbliche scuole.
A Bologna, dunque, in tre anni (dal 1866 al 1869, a 8 anni dall’Unità d’Italia e dall’emancipazione) il mutamento era stato profondo. Pur lodando l’impegno di Soliani, Momigliano vi getta un’ombra di rassegnazione ed ineluttabilità, quando afferma che «i tempi corrono in via tutta opposta dal secondarla».