L’istituzione della Fondazione Ebraica Marchese Cav. Guglielmo De Levy
Le tavole di fondazione, a rogito del notaio Giovanni Battista Bolatto, risalgono al 5 marzo 1947. Presenti all’atto i tre esecutori testamentari Disegni, Foa e Rimini.
A seguito di una premessa nella quale si richiamavano le circostanze del decesso e le volontà testamentarie del marchese, le tavole stabilivano quanto segue:
«1° La Fondazione Ebraica Marchese Cav. Guglielmo De Levy è un ente Giuridico con Sede in Torino presso la Comunità Israelitica Locale, ed i comparenti ne cureranno il suo legale riconoscimento.
2° La Fondazione sarà retta dallo Statuto che si allega a questo atto per farne parte integrante e sostanziale sotto la lettera A previa lettura da me datane a questo punto ai Signori Comparenti.
Il primo Consiglio di Amministrazione come voluto dal testatore, rimane formato dai Signori Comparenti e ne sarà Presidente il Sig. Dott. Comm. Dario Disegni Rabbino Capo della Comunità Israelitica di Torino per tutta la durata della sua carica e con carattere di consiglieri ad vitam per gli altri due. […]».
Lo statuto
Un primo statuto della Fondazione, che nell’intenzione degli esecutori testamentari doveva essere quello valido e definitivo, fu allegato alle tavole di fondazione (o atto costitutivo) del 5 marzo 1947.
A seguito di un confronto con il Ministero dell’Interno e con l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane durato alcuni anni e finalizzato tra le altre cose all’ottenimento del riconoscimento giuridico della Fondazione, furono redatte varie altre versioni dello statuto, sino a che non ci si incontrò su un’ultima redazione, datata 6 ottobre 1950.
Il primo statuto, di cui si conservano in Archivio alcune bozze, fra le altre cose stabiliva, all’art. 4° che «il patrimonio della Fondazione è costituito da tutti i beni formanti l’asse ereditario del Compianto Marchese Guglielmo De Levy, esistenti sia in Italia che all’estero, quali verranno a mano a mano consegnati dagli esecutori testamentari» e che «il patrimonio della Fondazione potrà essere incrementato anche dai lasciti, donazioni, legati ed eredità di altre persone od Enti, sempre che non si tratti di offerte espressamente destinate dall’offerente per le erogazioni ordinarie necessarie al raggiungimento dello scopo».
Si stabiliva inoltre che mentre dovevano essere investiti in Italia i titoli e i beni al momento italiani, «i titoli e i valori esistenti in Svizzera, qualora nulla osti da parte dell’Autorità Tutoria e ne sia riconosciuta la convenienza per gli scopi della Fondazione, rimarranno depositati nelle Banche di tale Stato ed ivi saranno pure trasferiti gli eventuali titoli e beni che il defunto possedeva in Germania. In Italia verranno trasferiti, per essere erogati secondo lo scopo della Fondazione, i redditi annui di tali beni. Ove gli amministratori lo ritengano conveniente si riservano il diritto del trasferimento in Italia anche di tutto il patrimonio esistente all’estero».
All’art. 5° si specificava che «per il raggiungimento dello scopo della Fondazione, gli amministratori potranno erogare ogni anno:
a) I nove decimi delle rendite patrimoniali dei beni esistenti sia in Italia che all’estero.
b) le offerte ed oblazioni di cui venga a beneficiare durante l’anno la Fondazione, qualora il benefattore non manifesti espressamente che la somma sia destinata ad incrementare del capitale; tali si presumano in ogni caso le somme superiori ad un milione di lire».
L’art. 6° era dedicato alla formazione di un bilancio di previsione, «che verrà approvato e sottoposto all’Autorità Tutoria»; e l’art. 7° al bilancio consuntivo, a proposito del quale si specificava che «L’eventuale avanzo di gestione sarà portato ad incremento del patrimonio e investito in beni o in titoli fruttiferi in Italia unitamente al decimo indisponibile delle rendite patrimoniali ed alle oblazioni per le quali il donatore abbia esplicitamente richiesta la capitolazione o tale destinazione debba presumersi a mente del paragrafo b dell’art. 5°)».
Gli artt. 8° e 9° furono tra i più dibattuti con l’Unione delle Comunità: riguardavano la composizione del Consiglio di Amministrazione, formato da un Presidente e due Consiglieri. «Il Presidente della Fondazione è il Rabbino Capo pro tempore della Comunità ebraica di Torino», mentre «gli Amministratori durano in carica vita natural durante, salvi i casi previsti dall’art. 25 del Cod. Civ. I Consiglieri hanno la facoltà di designare (ma si diceva in un primo momento proporre, cancellato da tratto di penna, n.d.r.) ciascuno il loro successore scegliendolo fra persone di provata competenza e rettitudine appartenente ad una delle Comunità Israelitiche Italiane e preferibilmente a quella di Torino». Al proposito seguiva a penna, con varie correzioni ulteriori, il seguente testo: «La nomina dei successori è devoluta al Rabbino pro tempore della Comunità in carica. Qualora per dimissioni, decesso o revoca venga a mancare uno dei Consiglieri senza che questi abbia provveduto alla designazione del suo successore, oppure quando il successore non voglia o non possa assumere la carica, la designazione del nuovo Consigliere è fatta dal Rabbino Capo della Comunità di Torino presidente della Fondazione al momento della sostituzione».
Vi si stabiliva infine (all’art. 14°) che «qualora non sia possibile il raggiungimento di almeno uno degli scopi che la Fondazione si propone, la Fondazione stessa passerà in liquidazione ed il patrimonio sarà devoluto alla Comunità Israelitica di Torino secondo il desiderio del Testatore».