Comunità Ebraica di Cuneo


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Fondo
Contenuto
Introduzione archivistica Di seguito si forniranno alcune informazioni sulle condizioni del materiale oggetto di inventariazione e si illustreranno le scelte fatte nella schedatura e nell’organizzazione di detto materiale. Questa breve premessa è necessaria ai fini di una proficua consultazione sia dell’inventario sia della documentazione. Il versamento La documentazione, versata all’Archivio B. e A. Terracini all’inizio del 2009, era da tempo conservata in una torre della sinagoga di Torino, in un locale adibito ad archivio di deposito della comunità torinese. Il documenti, tutti cartacei, non erano mai stati ordinati ed erano solo di rado accorpati con un criterio riconoscibile (ente produttore, tipologia documentaria, datazione). Erano raccolti in grosse scatole telate con nastri per la chiusura che – in considerazione del grande formato di molti documenti – sono state pulite e riutilizzate per il condizionamento delle carte inventariate; la qualità del materiale e della fattura delle scatole lascia pensare che risalgano a non prima degli anni Sessanta del Novecento, e che, dunque, gli antichi contenitori siano andati perduti. Da Marco Levi – che tuttavia non cita la sua fonte – apprendiamo che le carte giunsero a Torino nel 1929, quando, in virtù della “Legge Falco” (cfr. introduzione storica), la comunità venne annessa a quella torinese; ciò porta a concludere che l’ultimo condizionamento antecedente al presente riordino, come detto successivo agli anni Sessanta, sia stato effettuato già a Torino. Ciò che caratterizza in modo più evidente e drammatico il materiale della comunità di Cuneo è lo stato di conservazione. Come si potrà costatare dalla descrizione delle singole unità archivistiche, non vi è quasi documento che non sia più o meno gravemente deteriorato: i danni, causati dall’ambiente nel quale i documenti erano conservati (assai probabilmente prima di essere spostati nella torre della sinagoga torinese, locale molto secco), sono dovuti all’umidità – macchie, ma soprattutto muffe – e alle rosicature di topi. Non poche carte sono mutile o comunque fragilissime; un intervento di disinfestazione deliberato dall’Archivio Terracini dopo l’inventariazione del fondo consentirà quanto meno di fermare il processo di deterioramento cui il materiale era ancora sottoposto dalle muffe vive. Quanto resta dell’archivio storico della comunità non risale a prima degli ultimi anni del XVIII secolo e ad oltre gli anni Venti del Novecento. Il fondo non è, dunque, completo; ciò vale sia in rapporto alla lunga vita della comunità cuneese, sia anche in rapporto all’arco cronologico testimoniato: non esistono quasi serie continue, anche se alcune sono documentate con una certa consistenza. A questo proposito, dev’essere ricordata la testimonianza di diversi studiosi i quali sostengono che le carte della comunità cuneese (evidentemente non tutte) fossero state affidate a Salvatore Foa perché le riordinasse e come fossero in seguito andate distrutte nel bombardamento di Torino del novembre 1942. Questa notizia interessa forse i documenti antecedenti al Settecento, o, più probabilmente, a quelli prodotti fra gli anni Venti e Trenta del XX secolo; potrebbe riferirsi anche ad alcuni documenti datati al periodo cui risale il materiale pervenuto al Terracini, che per ragioni non più individuabili erano conservati separatamente rispetto alla gran parte della documentazione coeva. Questo “doppio destino” delle carte della comunità non deve sorprendere, in considerazione delle vicende spesso non lineari che interessano i fondi archivistici, specialmente quelli che vengono rimossi dalla sede originaria. Si conservano anche alcuni documenti privati, quasi tutti prodotti dall’attività di ebrei cuneesi, datati fra la fine del Cinquecento e il Seicento. Queste carte non fanno parte del fondo documentario nato dall’attività della comunità e sono stati ad esso aggregati quando i due gruppi di carte erano già stati versati all’Archivio Terracini; l’aggregazione è giustificata da ragioni essenzialmente pratiche e soprattutto sulla base di una pertinenza “geografico-sociale”. Sono stati descritti e disposti in coda ai fondi della comunità cuneese e della comunità di Mondovì (che fu annessa a Cuneo nel 1917). Intervento di schedatura e riordino La prima fase dell’intervento è consistita nella schedatura delle carte per mezzo del software della Regione Piemonte Guarini Archivi; la documentazione è stata analizzata a livello di documento e descritta a livello di documento o di fascicolo. Contestualmente alla schedatura e in parte in seguito, il materiale è stato ordinato concettualmente (per mezzo della funzione di riordino di Guarini Archivi). Sono stati enucleati tre diversi fondi: Cuneo, Mondovì e Documenti privati. I fondi delle comunità di Cuneo e Mondovì sono ulteriormente divisi in subfondi che raccolgono le carte delle comunità propriamente dette e degli enti che facevano capo ad esse: Congregazione di Carità israelitica, Asilo infantile, Congregazione di Misericordia e Beneficenza e Società di mutua istruzione della gioventù israelitica cuneese per Cuneo, Congregazione e Pio Istituto per Mondovì. I documenti privati sono divisi in tre serie: Liti, Attestazioni di debito o quietanze e una raggruppamento che raccoglie altra documentazione. Per alcune considerazioni più puntuali sulla descrizione e sull’ordinamento dei documenti rimandiamo alle introduzioni delle serie. Una volta terminato e verificato l’ordinamento concettuale, i fascicoli hanno ricevuto una numerazione progressiva definitiva ed è stato redatto l’inventario, corredato da una breve introduzione storica, dall’indice dei nomi e da una bibliografia essenziale. In conclusione, i fascicoli sono stati provvisti di etichette, fisicamente ordinati in base alla numerazione definitiva e, finalmente, condizionati nelle scatole e nei faldoni. Nella lettura dell’inventario e nella consultazione delle carte si devono tenere a mente alcune osservazioni generali: 1. Si è già detto che l’archivio è a tratti mutilo: ciò implica naturalmente una certa disomogeneità dei fascicoli, che – pur contenendo documentazione analoga – conservano talora molte, talora poche carte (cfr. ad esempio la corrispondenza). 2. In rispetto della sedimentazione storica dei documenti si sono mantenute alcune, non gravi, incoerenze nella distribuzione del materiale. Laddove poche carte sono state scorporate per andare a completare serie consistenti e già costituite (da cui erano state presumibilmente separate occasionalmente), altri documenti sono stati lasciati “in allegato” a materiale di genere diverso, seppure naturalmente pertinente. L’esempio principale è quello dei registri delle quietanze e di altri elenchi di entrate e uscite: esistono delle sottoserie specifiche nella contabilità, dal momento che la maggiorparte di questa documentazione era conservata separatamente; talora, tuttavia, gli elenchi accompagnavano conti finanziari o bilanci e sono stati lasciati nella posizione “originaria”. 3. Gli estremi cronologici indicati nei titoli attribuiti appaiono al di fuori di parentesi se si tratta di un dato caratterizzante dell’identità dell’unità archivistica, ovvero se fanno effettivamente parte del titolo, come nel caso dei bilanci; diversamente sono indicati fra parentesi tonde. 4. Gli indici rivestono naturalmente grande utilità nel collegamento fra le carte (alcuni legami specifici fra documenti conservati per ragioni più cogenti in serie o sottoserie diverse sono segnalati anche nelle introduzioni). Vengono indicizzati enti e persone che svolgono una qualche funzione ufficiale o un ruolo rilevante in relazione alle carte o alla storia della comunità. Nelle schede i nomi sono stati indicizzati nell’ordine in cui compaiono nella documentazione e non vi è un criterio gerarchico. 5. Collegata alla questione dell’indicizzazione è quella delle diverse denominazioni degli enti citati, ebraici e non. Si è scelto di mantenersi il più possibile coerenti al nome originario dell’istituzione, segnalando talora la grafia o la denominazione alternativa. 6. Infine, si noti che la voce “consistenza” indica il numero di fascicoli o buste che contengono attualmente le carte, oppure il numero dei registri di cui è composta l’unità archivistica (ad esempio nel caso dei conti finanziari). Esempio della scheda di un’unità archivistica n. di unità arch. Titolo attribuito (estremi cronologici) eventualmente: Titolo originale Contenuto consistenza, lingua, stato di conservazione eventualmente: note datazione Una minima parte della documentazione versa in condizioni materiali tali da non consentire alcun tipo di recupero, né tanto meno la schedatura delle carte. Ne diamo di seguito un semplice elenco: - conto delle entrate e delle uscite del 1881 (registro); - bilanci preventivi del 1881, 1882, 1885, 1886, 1887, 1896 e s.d. (registri); - conti finanziari del 1897, 1898, 1899 (registro); - ricevute e rese dei conti della metà del XIX secolo (registro); - ruoli dei contribuenti del 1898 (registri); - calcoli patrimoniali (registro non compilato) Breve introduzione storica I lineamenti storico-giuridici che si esporranno nelle poche pagine che seguono vogliono introdurre e agevolare la consultazione delle carte dell’archivio storico della Comunità ebraica di Cuneo (“università” nella documentazione conservata). In questo senso sono in parte da integrare con le note storiche che introducono i subfondi (asilo e opere pie). Benché i documenti conservati presso l’Archivio Terracini si datino fra la fine del XVIII secolo e gli anni Venti del XX, faremo pochi cenni anche alla formazione della comunità e alla sua storia fino agli ultimi anni del Settecento. Allo stato attuale della ricerca le fonti più antiche che attestano un insediamento stabile in Cuneo sono conservate presso l’Archivio di Stato della città: si tratta di pochi documenti (il più antico risale al 1406) in cui è citato un certo Belavigna, in alcune carte chiaramente indicato come judeus. L’uomo sarebbe stato invitato a risiedere in città, con ogni probabilità insieme alla famiglia, anche ai fini di ripopolare una Cuneo quasi disabitata in conseguenza della peste del 1398. Le notizie sugli ebrei in Cuneo e nelle località circonvicine restano sporadiche ma costanti nei decenni successivi, e i personaggi menzionati nei documenti degli archivi locali (di Stato e comunale) si moltiplicano, a testimonianza della nascita di una piccola comunità. L’impressione che si ricava dalle carte è confermata da un documento del 10 dicembre 1436 con cui il Consiglio comunale di Cuneo decreta l’applicazione per gli ebrei locali del noto Statuto di Amedeo VIII (1430). Nel 1452 si data una cacciata dalla città, indotta soprattutto dalle predicazioni antigiudaiche dei frati minori e dei domenicani, e le notizie su ebrei residenti a Cuneo riprendono solo negli anni Venti del XVI secolo. A metà del secolo venne nominato per la comunità ebraica cuneese un sotto-conservatore degli ebrei, magistrato locale dipendente del conservatore degli ebrei, istituito da Carlo II nel 1551 e residente a Torino. I cittadini ebrei andavano di nuovo aumentando, negli ultimi decenni del secolo grazie anche all’affluenza di alcuni gruppi provenienti dai territori pontifici di Avignone e del contado Venaissin, da dove erano stati scacciati da Pio V; a riprova del numero rilevante di ebrei cuneesi il comune, come ricorda G. Cerutti, presentò additrittura un ricorso (rimasto inesaudito) ad Emanuele Filiberto perché ne limitasse l’affluenza. Nonostante l’opposizione di una parte almeno della popolazione locale, nonostante le confische e i ricatti “fiscali” delle condotte promulgate dai duchi sabaudi, la comunità – i cui rappresentanti esercitavano soprattutto il prestito di denaro e il commercio – rimase salda nel tessuto sociale ed economico di Cuneo. Anche quando la Confraternita di Santa Croce istituì nel 1588 un monte di pietà, fra i cui scopi principali vi era la concorrenza con il prestito ebraico, la comunità riuscì a sopravvivere conservando la “clientela” più abbiente, fra cui lo stesso Comune, e alla fine del Cinquecento contava circa 120-130 persone. Il XVII secolo trascorse fra condotte emanate e confermate dai duchi in cambio di ingenti esborsi di denaro, controversie fiscali ed economiche – in genere con il Comune di Cuneo – e alcune conversioni al cattolicesimo (dalle carte non si evince se si trattava di conversioni coatte o spontanee): il censimento del 1688, conservato presso l’Archivio di Stato della città, attesta la presenza in Cuneo di 68 ebrei. Citando Camillo Fresia, Gian Rebuffo ricorda anche che proprio alla fine del Seicento (1687) venne fondata la Ghemilud Chassidim, Congregazione di Carità con lo scopo di educazione religiosa. Le condizioni della popolazione ebraica piemontese peggiorarono nel corso del XVIII secolo, e in particolare con le Regie Costituzioni del 20 febbraio 1723 (precisate e arricchite nel 1729), che si rifacevano allo Statuto di Amedeo VIII, e, fra i più noti provvedimenti, sancivano la nascita del ghetto, l’obbligo del segno distintivo dai 14 anni in poi, la segregazione durante la settimana santa e così via. Il ghetto cuneese fu istituito nel 1724 nella zona già abitata in prevalenza da ebrei, fra le attuali via Mondovì, via Alba, via Chiusa Pesio e corso Giovanni XXIII. Quando non vi provvedeva il potere centrale, spontaneamente o su indicazioni della Santa Sede, gli stessi ebrei stabilivano dei limiti alla loro condotta, quanto meno esteriore: nel 1764 l’Università israelitica del Piemonte (organo centrale da cui dipendevano le singole comunità) emanò una Prammatica dei giochi e dei conviti che bandiva lo sfarzo dalle occasioni pubbliche, sia per rispetto ai correligionari poveri, sia per non suscitare invidia e ostilità nella popolazione non ebraica. Beneficiando della nuova temperie culturale, sociale e umana nella quale fiorì l’Illuminismo e che l’Illuminismo stesso alimentò, le comunità ebraiche del Regno sabaudo videro un lento ma significativo miglioramento delle loro condizioni: dalla fine del Settecento nelle condotte aumentarono i privilegi e diminuirono le restrizioni e discriminazioni. Anche la popolazione cresceva, tanto che nel 1779 la comunità denunciò al prefetto l’insufficienza del ghetto, che aveva negli ultimi anni accolto molti ebrei forestieri «rifiuto degli altri ghetti, persone vagabonde, non dedite ad alcun lavoro». Il ghetto non venne ampliato, ma nel 1781 fu in parte risanato. L’occupazione francese – che a Cuneo durò dall’aprile 1796 al maggio 1814 (dal 1799 Cuneo fu ufficialmente Francia) – venne vista nel complesso come un cambiamento positivo dalla popolazione ebraica, che sperava in una più rapida realizzazione dell’emancipazione. In parte le speranze furono ben riposte, poiché proprio sotto il governo napoleonico la città ebbe il suo primo consigliere comunale ebreo, Salomon Lattes (1802-1814). Come noto, con la Restaurazione tornarono in vigore le Regie Costituzioni del 1770 e gli ebrei furono costretti, tra le altre cose, a rientrare nei ghetti. Nel 1816 furono emanate delle Regie Patenti che mitigavano in parte le rigide disposizioni delle Costituzioni, ma la gran parte delle leggi discriminatorie restavano in vita. Venendo agli aspetti più strettamente giuridici, nel corso del secolo fino allo Statuto albertino – la cosiddetta “seconda emancipazione” – le comunità israelitiche italiane erano corporazioni di diritto pubblico organizzate secondo propri regolamenti e facevano capo a istituzioni chiamate “Concistori”. L’ordinamento in Concistori, specchio del sistema dipartimentale francese, era stato esteso a numerose regioni d’Italia da Napoleone; in particolare, in Piemonte e Liguria l’ordinamento concistoriale fu ufficialmente imposto con decreto imperiale dell’11 dicembre 1808. In ogni dipartimento veniva creato un Concistoro, composto da un gran rabbino, un rabbino e tre notabili di nomina elettiva. Tale ordinamento rimase ufficialmente in vigore fino alla Legge Rattazzi (nata, come si vedrà poco oltre, su progetto delle comunità piemontesi), ma in numerose regioni italiane successivi provvedimenti ne avevano già modificato i tratti più sgraditi. In particolare, nel 1815 venne costituita in Piemonte – in alternativa al sistema concistoriale – un’unica “Commissione israelitica” che provvedeva alle necessità degli ebrei piemontesi e ripartiva fra essi le spese; dalla Commissione dipendevano le quattro università maggiori di Torino, Casale, Alessandria e Nizza cui erano a loro volta soggette tutte le altre università. Al loro interno le università israelitiche erano rette da un anziano, un vice-anziano e da un Consiglio, nominati dall’intendente generale sulla base di liste proposte da una commissione della stessa università, eletta dai maggiori contribuenti; il Consiglio si rinnovava di un terzo ogni anno. Un decreto dell’Intendente generale dell’aprile 1816 stabilì che in tutte le città piemontesi dove esisteva una sinagoga si dovesse creare un’amministrazione nominata dalla Commissione e soggetta alle sue direttive. L’esistenza di potenti organi sovracomunitari e di comunità “maggiori” dotate di una posizione di supremazia non era tuttavia apprezzata dalle comunità considerate “minori”; il vivace dibattito che portò alla nascita della Legge Rattazzi fu incentrato soprattutto su questo problema. Fonte di grande insoddisfazione era pure il sistema di tassazione e frequenti erano i ricorsi dei contribuenti, sia in relazione all’ammontare della tassa (non meno di 40 lire annue ), sia in relazione al domicilio. Soprattutto in seguito all’emancipazione del 1848 numerose voci si levarono perché si creasse un sistema più efficace e, soprattutto, equo nella ripartizione dei tributi. Il governo affidò dunque all’università di Torino un progetto di regolamento economico-amministrativo per gli ebrei di tutto lo Stato. Con vicende alterne e numerosi dissidi si giunse infine, nel 1856, ad un accordo fra le comunità su come si dovesse intendere l’organizzazione comunitaria e sovracomunitaria; il progetto prevedeva la scomparsa sia di una direzione centrale (sostituita da un’Assemblea periodica generale dei delegati di tutte le comunità), sia della distinzione fra comunità maggiori e comunità minori. Su queste premesse fu emanata la Legge n. 2325 del 4 luglio 1857 (detta “Rattazzi” dal ministro che ne stilò il progetto), accompagnata da un regolamento “per l’amministrazione e contabilità delle università israelitiche” (n. 2326). La legge, che definiva le università israelitiche “corporazioni di diritto pubblico”, disponeva l’esistenza di un Consiglio eletto dai maschi maggiorenni, contribuenti e non analfabeti, e di un’Assemblea generale dei contribuenti cui spettava essenzialmente la nomina e la revoca del rabbino. All’art. 27 prevedeva inoltre la creazione, previa approvazione da parte del Ministero dell’Interno, di Consorzi che si occupassero di questioni di interesse comune alle varie comunità. La legge regolava inoltre i parametri di tassazione dei membri della comunità. Il ministro dell’Interno aveva facoltà di sciogliere i Consigli. Dal Piemonte la Legge Rattazzi fu man mano estesa ad altre regioni, benché non fosse apprezzata da tutto l’ebraismo italiano. Fra i vari motivi di insoddisfazione si riproponeva quello dell’imposizione del contributo e di come un ebreo potesse sottrarvisi (passando ad un’altra confessione o abbandonando semplicemente quella ebraica): la legge affermava semplicemente che ciascuna comunità comprendeva “tutte le famiglie e individui appartenenti al culto israelitico, domiciliati da oltre un anno nel Comune nel quale trovasi eretta”, senza indicare norme per l’iscrizione e cancellazione dei membri. Le comunità israelitiche presero allora ad organizzarsi indipendentemente dalla Rattazzi. Già in occasione del Congresso israelitico italiano del maggio 1863, tenutosi a Ferrara, era stata ufficialmente messa all’ordine del giorno l’eventuale modifica di alcuni punti della legge Rattazzi. Se ne discusse anche in Parlamento. In seguito all’emancipazione e alla Legge Rattazzi la comunità cuneese si preoccupò di presentare un resoconto dettagliato della sua situazione, che venne pubblicato da Flaminio Servi nel 1866 sul “Corriere Israelitico”. Il resoconto è presentato in fotocopia in calce a questa introduzione e vi rimandiamo per gli aspetti giuridici e amministrativi che interessano la gestione della comunità: vi si farà anche occasionale riferimento nelle introduzioni alle serie. Segnaliamo di seguito solo le tappe fondamentali della storia della comunità nel secondo Ottocento. In primo luogo dev’essere menzionata la nascita dell’asilo, nel 1858. Pochi anni dopo – nel 1863 – venne emanato un nuovo regolamento della Congregazione di Carità Israelitica o Ghemilud Chassidim (u.a. 155). Nel 1866 vide la luce un altro ente dipendente dalla comunità, di cui purtroppo si conserva pochissima documentazione: la Società di mutua istruzione religiosa della gioventù israelitica cuneese. Nel 1884 si mise mano anche al restauro della sinagoga, che venne realizzato entro l’anno. Fra fondazioni e rinnovamenti la comunità di Cuneo dimostra di essere stata molto attiva alla fine del XIX secolo, e fino a tutti i primi decenni del XX, ciò che è rispecchiato nelle carte conservate presso l’Archivio Terracini. Anche i rapporti con il Comune e con la cittadinanza si fecero migliori a cavallo dei due secoli, come testimoniano tra l’altro alcuni lasciti di ebrei ad enti pubblici territoriali citati da Giovanni Cerutti: egli ricorda ad esempio il lascito testamentario di Bonaiuto Lattes a favore della città (1907) e quello di Emanuele Segre per il finanziamento di premi di studio a favore degli alunni della scuola della frazione dei Ronchi. La popolazione ebraica era integrata nella vita economico-sociale, e alcuni suoi membri si dedicarono alla vita pubblica, ad esempio il consigliere comunale, poi consigliere, presidente e infine commissario governativo della Camera di Commercio Marco Cassin. Di estrema importanza – anche in relazione alle carte sopravvissute – l’annessione della comunità di Mondovì a quella cuneese. Deliberata con decreto luogotenenziale del 25 febbraio 1917, non portò, ovviamente, alla scomparsa della comunità monregalese, ma alla perdita della sua autonomia giuridica, amministrativa ed economica. Questo passaggio di autorità è evidente nelle carte conservate: i documenti prodotti dalla comunità di Mondovì a partire dal 1918 erano infatti conservati insieme a quelli della comunità cuneese, da cui era venuta a dipendere, e sono raccolti e descritti in un subfondo immediatamente seguente a quello della comunità di Cuneo. Per il resto, l’archivio Terracini conserva un fondo inventariato delle carte monregalesi antecedenti all’annessione. Quanto alla giurisprudenza che regolava le università israelitiche, in considerazione di una certa insoddisfazione suscitata dalla Legge Rattazzi e sotto l’impulso del riassetto generale dello Stato voluto dal fascismo, nel 1930 entrò in vigore la nota “Legge Falco”. La Falco venne emanata sulla base di una legge più generale, riferita all’esercizio dei culti ammessi (n. 1159, 24 giugno 1929), con cui il Governo si era dato «la facoltà di emanare le norme per l’attuazione della presente legge, e per il suo coordinamento con le altre leggi dello Stato, e di rivedere le norme legislative esistenti che disciplinano i culti acattolici» (art. 14): in virtù di questa facoltà vennero appunto emanati il R.D. 1731 del 30 ottobre 1930 – Norme sulle Comunità israelitiche e sulla Unione delle Comunità medesime – e il relativo regolamento di attuazione, n. 1561, entrato in vigore il 19 dicembre 1931. La legge implicò l’aggregazione delle comunità “minori” a quelle più grandi: Cuneo perse la sua autonomia e diventò dipendente da Torino. Per questa ragione, i documenti più tardi conservati nel fondo autonomo – come già detto – si datano alla metà degli anni Venti. Considerato l’arco cronologico delle carte, nell’archivio comunitario non si conservano tracce del periodo delle persecuzioni razziali né delle deportazioni, benché vi fossero ancora ebrei residenti a Cuneo: per la storia della Cuneo ebraica in questi anni si rimanda dunque alla bibliografia. Segue fotocopia del resoconto redatto da Flaminio Servi nel 1866 e riportato quasi integralmente da G. Cerutti (Belavigna cit., pp. 100-106).
Data estesa
1591 Febbraio 19 - 1930 Gennaio 01
Descrizione Estrinseca
3 fondo, 6 subfondo, 27 serie, 23 sottoserie, 8 sotto-sottoserie, 316 UA
Storia conservazione
Il fondo copre un arco cronologico compreso tra la fine del XVIII secolo e i primo ventennio del XX secolo. Molta parte della documentazione presenta danni di vario genere ai supporti, che ne rendono difficile la consultazione. L’archivio comprende tre diversi fondi: Cuneo, Mondovì e Documenti privati. I fondi delle comunità di Cuneo e Mondovì sono ulteriormente divisi in subfondi che raccolgono le carte delle comunità propriamente dette e degli enti che facevano capo ad esse: Congregazione di Carità israelitica, Asilo infantile, Congregazione di Misericordia e Beneficenza e Società di mutua istruzione della gioventù israelitica cuneese per Cuneo, Congregazione e Pio Istituto per Mondovì. I documenti privati, quasi tutti prodotti dall'attività di ebrei cuneesi e datati fra la fine del Cinquecento e il Seicento, sono divisi in tre serie: Liti, Attestazioni di debito o quietanze e una raggruppamento che raccoglie altra documentazione.

Per la storia del soggetto produttore e per i criteri di ordinamento del fondo si rinvia a CHIARA PILOCANE, Comunità ebraica di Cuneo – Inventario , conservato presso l’Archivio B.& A. Terracini.

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