Comunità Ebraica di Mondovì
Segnatura
Mon. 1-755
Livello di descrizione
Fondo
Contenuto
INTRODUZIONE ARCHIVISTICA
Di seguito si forniranno alcune informazioni sulle condizioni del materiale oggetto di inventariazione e si illustreranno le scelte fatte nella schedatura e nell’organizzazione di detto materiale. Questa breve premessa è utile ai fini di una proficua consultazione sia dell’inventario sia della documentazione.
I. Il versamento e lo stato del materiale
La documentazione è stata versata all’Archivio Ebraico Terracini in circostanze non documentate, ma con ogni probabilità prima del 1990.
Non vi è modo di stabilire se tali carte, come quelle della Comunità Ebraica di Cuneo cui Mondovì era stata aggregata nel 1917 (cfr. Cenni storici), fossero state dapprima depositate presso la Comunità di Torino a seguito degli ulteriori accorpamenti voluti dalla legge Falco , e di lì versate al Terracini. Tale eventualità è verosimile, tuttavia si dovrebbe pure supporre che le carte di Mondovì, che sono in buono stato di conservazione (si veda oltre), una volta a Torino non fossero state conservate insieme ai documenti cuneesi, i quali sono tutti, viceversa, danneggiati gravemente dalle muffe.
L’unico dato certo nella storia di questo fondo documentario riguarda una prima inventariazione del materiale, a più mani, svolta quando già era conservato all’Archivio Terracini, a partire dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso fino al 2005 circa. Il lavoro non aveva seguito criteri scientificamente validi (dal punto di vista archivistico, della storia delle istituzioni e dell’interpretazione delle specificità ebraiche del fondo) e le carte spesso non erano state individuate correttamente (per data, natura e oggetto) né attribuite ai loro soggetti produttori, cosicché non esistevano fino ad oggi una descrizione e un riordino soddisfacenti.
A seguito di questo primo spoglio degli anni Novanta-Duemila, la documentazione – esclusivamente cartacea – era stata raccolta all’interno di 19 faldoni: lo stato di conservazione delle carte era ed è buono, fatta eccezione per qualche documento parzialmente danneggiato lungo i margini.
Le carte conservate si datano fra il 1776 e il 1916: non restano purtroppo documenti più antichi, mentre carte successive al 1916 si trovano nel già citato archivio della Comunità di Cuneo, di cui Mondovì divenne sezione. Nello stesso archivio si conservano anche documenti monregalesi più antichi del 1917 (anno dell’aggregazione), assorbiti perché la loro compilazione e talora il loro utilizzo proseguirono negli anni dell’amministrazione cuneese e dunque erano considerati “correnti” .
Alcune serie archivistiche sono complete o quasi, altre purtroppo molto scarne: a questo proposito non è forse senza significato – considerato il destino probabilmente comune delle carte di Mondovì e di Cuneo – la testimonianza di diversi studiosi i quali sostengono che le carte della comunità cuneese (evidentemente non tutte) erano state affidate a Salvatore Foa perché le riordinasse e che queste erano in seguito andate distrutte nel bombardamento di Torino del novembre 1942 . La notizia – sempre assunto che i documenti monregalesi si trovassero con quelli di Cuneo – interessa forse i documenti antecedenti al Settecento e/o fors’anche altre carte mancanti, dell’Otto e Novecento. In particolare, a questa informazione si deve aggiungere un’altra memoria specificamente riferita a Mondovì, quella cioè di Guido Neppi Modona, nipote di Marco Levi, ultimo ebreo di Mondovì: Neppi Modona ricorda infatti che lo zio Marco gli raccontava di aver portato i documenti della Comunità di Mondovì (forse quelli ritenuti più importanti, ad esempio i registri anagrafici, che mancano) a Torino all’interno di due valigie e che poi queste fossero appunto andate distrutte nel bombardamento del 1942. Il quadro si compone dunque di diversi dati – che sembrano convergere e confermarsi a vicenda – ma non è ancora sufficientemente chiaro. Ciò non deve del resto sorprendere considerate le vicende non sempre lineari dei fondi d’archivio e, insieme, le circostanze della guerra.
Le carte sopravvissute riguardano l’attività della Comunità propriamente detta (Università) e di alcune sue opere pie; si conservano inoltre pochi documenti privati.
II. Intervento di schedatura e riordino
La prima fase dell’intervento è consistita nell’analisi e schedatura delle carte: la documentazione è stata analizzata a livello di documento e descritta a livello di unità archivistica (documento, registro/i, fascicolo).
Contestualmente alla schedatura e in parte in seguito le unità archivistiche sono state ordinate concettualmente (nel database); in questa fase sono stati enucleati i diversi soggetti produttori e le rispettive serie documentarie e aggregazioni logiche, corrispondenti alle funzioni e alle attività dei diversi soggetti.
Una volta terminato e verificato l’ordinamento concettuale, è stata attribuita la segnatura definitiva alle unità ed è stata redatta la versione definitiva dell’inventario.
In conclusione, le carte sono state condizionate in camicie di carta barriera e le unità sono state ordinate fisicamente sulla base della segnatura definitiva e, finalmente, condizionate nelle scatole. Le unità fuori formato si conservano sciolte.
Nella lettura dell’inventario e nella consultazione dei documenti si devono tenere a mente poche note generali.
1. Si è già detto che l’archivio è a tratti mutilo: ciò implica naturalmente una certa disomogeneità dei fascicoli, che – pur contenendo documentazione analoga – conservano talora molte, talora poche carte (cfr. ad esempio la corrispondenza).
2. In rispetto dell’ordinamento originario delle carte – laddove questo fosse ancora decifrabile – si sono mantenute alcune difformità nella distribuzione dei documenti: si veda ad esempio il caso delle ricevute, che nell’amministrazione dell’opera pia Gemilut Chassadim erano conservate insieme ai mandati di pagamento (e così sono state mantenute) mentre nell’amministrazione della Comunità erano tenute a sé.
3. Nell’inventario, gli estremi cronologici indicati nei titoli attribuiti appaiono al di fuori di parentesi se si tratta di un dato caratterizzante l’identità dell’unità archivistica, ovvero se fanno effettivamente parte del titolo, come nel caso dei bilanci; diversamente sono indicati fra parentesi tonde.
III. Esempio della scheda di unità archivistica
segnatura Titolo attribuito (estremi cronologici)
Contenuto
datazione
CENNI STORICI
La storia della Comunità di Mondovì è stata accuratamente studiata per quanto attiene alla documentazione conservata negli archivi locali e di Stato nel volume miscellaneo Ebrei, Via Vico. Mondovì XV-XX secolo .
Manca viceversa uno studio, anche parziale, delle importanti carte conservate nel fondo che qui si presenta riordinato e inventariato: nella raccolta di saggi sopra indicata non vi è infatti alcun riferimento alla documentazione prodotta dall’attività della stessa Comunità e delle sue opere pie, evidentemente imprescindibile per una ricostruzione storica il più possibile fedele e scientificamente valida. La storia degli ebrei monregalesi è dunque ancora in gran parte da scrivere (o precisare e sistemare), almeno per quanto attiene ai secoli XIX-XX, quelli cui risale la stragrande maggioranza delle carte conservate nel fondo della Comunità .
Ciò premesso, si daranno solo pochissime indicazioni per i primi secoli dell’insediamento ebraico – tratte in parte dai dati raccolti nel citato volume Ebrei, Via Vico (consultabile per approfondimenti in Archivio Terracini) e in parte comunque da fonti non ebraiche – e di seguito, per il secolo XIX, alcuni dati, soprattutto di carattere “istituzionale”, ricavati principalmente dalla documentazione qui inventariata e a tutt’oggi, come accennato, inesplorata.
La Comunità di Mondovì affonda le sue origini nel XV secolo, quando si trovano sporadiche attestazioni di nomi ebraici nelle fonti locali . La presenza di ebrei nel territorio – apparentemente dediti soprattutto al prestito e al commercio – non significa ancora l’esistenza di un gruppo organizzato istituzionalmente, che sembra mancare fino al XVIII secolo. Ancora nel 1679 gli ebrei residenti a Mondovì si facevano seppellire a Cuneo , a riprova del fatto che, con ogni probabilità a causa del numero esiguo di famiglie, non vi era una Comunità (“Università”) in senso proprio.
Circa cinquanta anni dopo vediamo però che nella generale riorganizzazione del sistema contributivo delle “caselle” promossa dall’Università Maggiore Israelitica del Piemonte per mezzo dell’emanazione di un atto della sua Congrega (compilato l’8 luglio 1728 «avanti al signor giudice di questa città [Torino] delegato dall’ecc.mo Senato, manualmente sottoscritta [sic] Manfredi segretario») era stato aumentato il numero di caselle sul territorio ed erano state aggiunte caselle in Cuneo, Cherasco e, appunto, Mondovì. Al capo 21 del detto atto leggiamo «Quella di Mondovì, ove vi concorreranno anche gli ebrei abitanti in Bene, dovrà essere riposta in casa d’Abram Momigliano, serrata, come sopra, con tre chiavi, una esistente appo lui stesso, l’altra appo Israel Levi e l’altra nelle mani del sindaco come sovra, quali direttori dovranno vigilare per gli interessi spettanti alla medesima, deputando pure il loro maestro di scuola per numeratore del danaro, con le sottomissioni ed istruzioni portate nei capi precedenti». Al di là della presenza della casella, che attesta di per sé la residenza stabile di un certo numero di famiglie, notiamo in queste prescrizioni l’indicazione di un “maestro di scuola”, che sembra dimostrare l’esistenza di una qualche organizzazione “comunitaria” (non solo di iniziativa e carattere privati) anche nell’istruzione.
Tale dato è del resto confermato dall’istituzione quattro anni prima, nel 1724, del ghetto in Mondovì Piazza, su via Vico. E proprio dalla documentazione riferita all’organizzazione del ghetto emergono alcuni dati più specifici sulla popolazione ebraica monregalese. Fra questi è ad esempio interessante un documento in parte trascritto da G. Comino : si tratta di una lettera indirizzata dal conte Nicolis al segretario di Stato in cui si dice che «Il primo ordine dato per l’unione delle fameglie ebree al Mondovì fu che si collocassero nella città ove hanno la sinagoga, ma, avendo saputo che erano solo in numero di otto famiglie, sei delle quali abitanti da molti anni con botteghe e magazeni in Breo in case proprie, che la sinagoga consisteva in una sola stanza d’una casa di monache, abitata da più famiglie cattoliche, che le case che si proponevano nella città erano in parte casupole remote […]» e che dunque il conte aveva pensato di unire le due famiglie di Piazza alle sei di Breo. Al di là del fatto che la scelta fu infine diversa e gli ebrei di Breo furono obbligati a vendere le case e a trasferirsi a Mondovì Piazza, da questa lettera si evince la presenza stabile da almeno qualche anno (o decennio) di famiglie ebraiche, addirittura proprietarie di case, e l’esistenza già da tempo di una sinagoga.
Utili per circostanziare e caratterizzare la presenza ebraica in Mondovì fra la metà del Settecento e l’inizio dell’Ottocento sono le Consegne generali, conservate nell’Archivio Storico del Comune di Mondovì; di queste Comino riporta alcuni interessanti estratti: stando a tali documenti, i nuclei familiari alla metà del XVIII secolo erano circa una quindicina e le attività principali esercitate dagli ebrei erano il commercio e la filatura della seta. Con l’accrescersi della popolazione il ghetto fu lievemente ampliato rispetto al perimetro originario ; ciò nonostante, alla fine del secolo non riusciva a contenere l’intera popolazione ebraica della città, che, come dimostra un documento non datato conservato all’Archivio del Comune di Mondovì, risiedeva in parte al di fuori di esso .
L’archivio della Comunità inizia a parlare ai ricercatori, come detto, dalla fine del Settecento, seppur in modo sporadico. La documentazione diviene man mano più abbondante dagli anni Quaranta-Cinquanta dell’Ottocento e testimonia le attività svolte dai suoi organi istituzionali – il Consiglio di Amministrazione e l’Assemblea dei contribuenti – e dalle persone che, in qualità di dipendenti o volontari, contribuivano al suo andamento, in primo luogo il rabbino. Tutte le carte conservate dimostrano un’organizzazione ormai consolidata e giuridicamente stabile (come attestato anche dai rapporti con gli enti pubblici locali) delle famiglie ebree, confermando così i dati ricavati da altre fonti, sopra sinteticamente ricordati.
La Comunità di Mondovì offriva ai suoi contribuenti – al pari delle altre Università ebraiche locali – il servizio liturgico, sostenuto dalle tasse annuali (e talora da contribuzioni speciali) e dalle offerte che regolarmente (per incarichi religiosi onorifici o con il mezzo dell’asta delle mitzvot) o per iniziativa spontanea e volontaria (lasciti testamentari soprattutto) venivano fatte. Insieme alla tenuta della sinagoga e delle funzioni, la Comunità si occupava anche dei servizi funebri e della distribuzione delle matzot e dei lulavim per le feste di Pesach e Sukkot. Il culto era ovviamente amministrato da un rabbino, assunto per mezzo di regolare concorso, e per quanto concerne i servizi non liturgici da uno shammash o bidello. Per alcune officiature specifiche venivano assunti temporaneamente dei chazanim, cantori professionali. La Comunità stipulava inoltre contratti per la macellazione rituale della carne (talora ma non sempre svolta dai rabbini o vice-rabbini quando presenti) e per i prezzi di fornitura della stessa, acquistata come altrove da macellai che fornivano anche carne a non ebrei.
Le somme raccolte annualmente, sulla base dei bilanci dell’Università Israelitica Maggiore del Piemonte (fino al 1859) e ripartite sulla base degli stati patrimoniali delle famiglie, sostenevano in parte anche la beneficenza a vantaggio dei poveri ebrei locali e di Terra Santa. L’attività di beneficenza era svolta soprattutto da un’opera pia espressamente creata allo scopo in epoca non chiaramente individuabile (eretta in corpo morale nel 1865 ), la Gemilut Chassadim, ma anche in parte direttamente dalla Comunità. Nelle carte esiste inoltre traccia di un’altra opera con scopi caritatevoli, la cosiddetta Negarim, di cui purtroppo non si conservano – quanto meno in questo fondo – documenti o dati precisi.
La Comunità provvedeva, infine ma non ultimo, all’istruzione, un’attività sfortunatamente poco documentata nelle carte ma, come si è visto sopra, svolta istituzionalmente almeno dal XVIII secolo.
Tornando alle opere pie, ne sono attestate – insieme alla principale, la già citata Gemilut Chassadim, e alla Negarim di cui nulla si sa – altre tre, una di carattere caritatevole, la Confraternita delle Pie Donne, e due di carattere religioso in senso lato, la Kevurat Talmud Torà poi Talmud Torà ve-Rodfe Tzedeq e la Società Shomer Shovavim (si vedano le relative introduzioni nell’inventario).
Insieme al fondamentale apporto che la documentazione qui inventariata dà per ricostruire le vicende “interne” della Comunità, l’archivio contribuisce ovviamente anche a delineare o meglio circostanziare l’atteggiamento degli ebrei monregalesi in occasione dei grandi eventi del XIX secolo, dalla prima Emancipazione all’Unità d’Italia, fino agli importanti Congressi Israelitici dell’Ottocento: sono di indubbio valore e interesse tutti i dati che qui si possono ricavare su quelli che furono gli impatti giuridico-istituzionali e quindi anche economici e sociali che tali svolte storiche ebbero sulla vita comunitaria.
La Comunità, molto vivace nel corso del XIX secolo, andò man mano perdendo di consistenza e importanza all’inizio del Novecento e nel 1917 fu annessa istituzionalmente a quella di Cuneo .
Adriana Muncinelli ricorda come all'entrata in vigore delle leggi razziali a Mondovì risiedessero soltanto più undici ebrei .